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Le banche tengono ma ora sono i soci a contare di più

di Orazio Carabini

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24 novembre 2009

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E in futuro che cosa accadrà? «Qualcuno pensa – sostiene Enrico Letta, vicesegretario del Pd – che le grandi banche come UniCredit e Intesa Sanpaolo debbano tornare a "italianizzarsi". È un errore perché la loro forza è proprio quella di aver saputo internazionalizzarsi». Un personaggio che conosce bene le due maggiori banche la vede così: «Forse Intesa dovrà internazionalizzarsi di più e UniCredit un po' meno». «Le banche seguono le imprese non viceversa», aggiunge un altro importante banchiere.

Molto dipenderà comunque dal rapporto con la politica. Il sistema creditizio italiano ha retto l'urto della crisi e dell'attacco concentrico proveniente dal governo e dal mondo delle imprese. Esce dalla burrasca con un'immagine appannata («gli affamatori») ma ha dimostrato di saper "fare blocco" per difendersi dalle aggressioni e dalla cattiva congiuntura. Le fondazioni hanno esercitato con grande responsabilità il loro ruolo di azionisti di riferimento fornendo il capitale necessario a superare il momento difficile. E a Guzzetti è riuscito il capolavoro finale di riportare la pace tra i supermanager e il ministro.

È un elemento importante per valutare come si è mosso il pendolo del potere: dai manager ai soci, dai cinquantenni a un intramontabile ultrasettacinquenne di scuola democristiana. «Tremonti – spiega un banchiere – ha capito che Guzzetti quando dice una cosa la fa. Non è vendicativo, ed è costruttivo, creativo. Basta pensare a come, dopo la guerra sulle fondazioni, ha ricucito con il Tesoro entrando nella Cassa depositi e prestiti e accettando di partecipare a vari progetti. In questo momento è un asse che tiene perché Tremonti e Draghi riconoscono che le fondazioni sono gestite bene e non sono in mano ai politici come si temeva all'inizio».

24 novembre 2009
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